Ugo Paliotto

 

Il canto e` liberta`!

 

 DAL LIBRO DI ANTONIO JUVARRA “I SEGRETI DEL BELCANTO”

BERNARDO MENGOZZI (1803)

Per vocalizzare correttamente occorrono i seguenti requisiti:

  1. Attaccare i suoni (se l’emissione del suono non si fa con prontezza, esso diventa gutturale).
  2. Passare dall’uno all’altro registro di voce, riunendoli in modo che questo passaggio sia insensibile.
  3. Eseguire tutti gli abbellimenti del canto con grazia, leggerezza e precisione.

La prontezza dell’emissione e` l’arte del cader giusto, del salire al volo sull’onda che passa: un solo istante del tempo e` quello giusto; se non lo si coglie, il suono sarà di volta in volta gutturale, nasale, dentale, etc.,  ma non trascendentale.

Uno dei modi più frequenti di scorretta applicazione dell’energia nel canto, consiste nell’aumentare direttamente la quantità di voce salendo agli acuti invece che lasciare che la voce risuoni da sola.

Questo da luogo al canto spinto o gridato, che e una sorta di costante accelerazione, avendo il freno a mano tirato. La tecnica del belcanto consiste appunto nel trovare il modo di non “azionare il freno”, che di fatto impedisce alle corde vocali di aumentare naturalmente le loro vibrazioni nelle note acute, senza essere sottoposte a tensioni e stress.

 

LUIGI LABLACHE (1840)

I suoni di mezzo si producono dirigendo il respiro contro i denti superiori; i suoni di testa si ottengono dirigendo il respiro interamente verso i seni frontali.

 

MANUEL GARCIA FIGLIO (1847)

Il suono migliore si ottiene:

  1. Appiattendo la lingua in tutta la sua lunghezza.
  2. Sollevando leggermente il velo palatino.
  3. Allontanando i pilastri dalla base verso l’alto in modo che l’apertura renda visibile la laringe e la faringe incammini la colonna sonora verso la parte anteriore del palato.

Garcia figlio sostiene l’apertura verticale tramite abbassamento della mandibola (necessaria per trovare nella zona acuta lo spazio dato dal timbro scuro), senza che ciò comporti un offuscamento della brillantezza. In questo modo l’asse orizzontale del sorriso, che suscita le risonanze orali della brillantezza, si aggiunge e si armonizza con l’asse verticale dello sbadiglio, che stimola le risonanze faringee della rotondità e della morbidezza scura.

Inoltre e` il fautore della sensazione di suono in bocca, percepita dal cantante quando riesce a sintonizzarsi con l’asse orizzontale della brillantezza.

Ogni tentativo di rendere più sonora la voce non può che intaccare la materia prima della voce cantata. L’articolazione, invece, misteriosamente aiuta l’emissione, se non e` ostacolata da alcuna tensione.

 

ENRICO DELLE SEDIE (1876)

“Se voi aprite le bocca nella sua larghezza avrete un suono comune; se invece l’aprite troppo nella sua lunghezza, avrete un suono gutturale e sordo. Siate prima di tutto naturali; aprite la bocca come per sorridere senza affettazione e il timbro della vostra voce sarà rotondo e sonoro”.

“La lingua dovrà tenersi appianata. Qualora se ne rigonfi la base, l’emissione del suono diventa incerta e si fa sorda o nasale; se poi se ne rialzi l’estremità verso il palato, la voce, respinta verso la gola, si oscura e diviene gutturale; se infine si solleva nel mezzo, il suono e` esposto a rompersi ed a produrre una stecca, oppure ad uscire strozzato e miagolante”.

La vocale A, non e’ concepita come conformazione ideale e fissa della cavità di risonanza, ma come esempio di apertura naturale della bocca che facilita la percezione della bocca piena di suono. Quest’ultima e per Delle Sedie il segno che si sono create le condizioni acustiche della risonanza libera.

Una risata franca, liberatoria non e` concepibile se non sul suono della vocale A.

La O e` la vocale che evoca il senso della verticalità e della profondità, localizzata a livello faringeo.

Se la A e` il giorno e la dimensione solare, la U e il suo opposto, la notte, lo stato di sogno, la profondità insondabile.

La vocale italiana I, essendo la più brillante delle vocali, può essere impiegata per dare brillantezza alle altre vocali. Passare da una vocale squillante a una vocale opaca sulla stessa nota e` un efficace mezzo per migliorare la vocale poco brillante. Questo uso della I come mezzo per illuminare le altre vocali sarà la via privilegiata di grandi cantanti quali Beniamino Gigli, Carlo Bergonzi e Alfredo Kraus.

Il metodo del giro delle vocali sulla stessa nota viene applicato da Delle Sedie.

Afferma inoltre che la prima nota dell’arpeggio va attaccata colla posizione di gola necessaria per il suono più acuto.

La giusta altezza del suono appare naturalmente se si rispettano le seguenti condizioni:

  1. L’attacco del suono puro e dolce.
  2. L’uso morbido della muscolatura respiratoria.
  3. La dinamica della mezza voce (attaccare il suono dolce, non affondato).
  4. Il dosaggio regolare del fiato.

Violando una di queste condizioni, non si può verificare il miracolo della risonanza libera.

“Sara indispensabile adoperarsi onde le pareti della cavità orale si distendano convenientemente, la lingua si spiani e la gola si allarghi, accio` il suono possa vibrare entro un ampio risuonatore”.

Tale suono, non e` quello ingrossato e pesante degli affondi postveristi, che si manifesta con l’attacco del suono dal basso, ma appunto quello puro, dolce e limpido della tradizione belcantistica.

 

FRANCESCO LAMPERTI (1883)

Cantare sull’atto dell’inspirazione: cioè iniziare il suono quando ancora il movimento muscolare di distensione e dilatazione non si e` del tutto esaurito e sta per invertire la rotta per la contrazione espiratoria.

“La lingua si tiene spianata in tutta la sua lunghezza di modo che rimanga il maggior vuoto possibile nella bocca”.

Il suono puro, secondo Lamperti, consiste nel suono normale, della voce parlata.

La giusta correlazione tra suono e fiato si delinea nel seguente modo: da una parte un suono piccolo, e dall’altra “un gran volume d’aria, che si deve regolare con arte”.

“Sara ottima cosa far si che la voce emessa sia in forza assai minore alla quantità del fiato, locche` renderà il canto più naturale, più unito, e farà si che l’artista conservi una dose di fiato anche dopo la cessazione del suono”.

“Tutte le note, dal basso all’alto e viceversa, siano fatte col medesimo volume d’aria, e cioè non permettendo che il fiato raccolto nei polmoni sfugga più del bisogno.

La voce non sarà mai bene appoggiata, fintanto che l’allievo non dimostri di non fare alcuna fatica nella sua emissione e la di lui fisionomia non sia calma e naturale”.

 

LILLI LEHMANN (1902)

La prima importante conseguenza della rivoluzione della Lehmann consiste nella sparizione della gola e delle corde vocali dall’orizzonte percettivo del cantante.

“In me la gola non svolge nessun ruolo; personalmente non ho altra sensazione che quella del fiato che fluisce dolcemente. Un suono non deve mai essere forzato e non bisogna mai spingere il fiato verso la cavità di risonanza, ne mai trattenere il suo fluire".

La Lehmann attribuisce alla sillaba didattica nei grande importanza, avendo il vantaggio di indurre più altezza al suono. E come vocale anch’essa anteriore, la e può diventare i con un impercettibile movimento.

Le due vocali e e i sono dunque strettamente legate tra loro e si aiutano reciprocamente.

La i riceve la sua forza dalla e, mentre la e deve la sua facilita e la sua altezza alla i.

La spinta del fiato e la rigidità del diaframma lavorano contro gli organi vocali superiori, che invece devono essere liberi, quindi tutte le pressioni esercitate su di esse tramite il diaframma sono grossolani errori che inducono alla perdita della voce.

“Uno sbaglio altrettanto grave si ha quando gli allievi, invece di servirsi della collaborazione globale dei muscoli, abbandonano completamente il suono, cioè il fiato che vibra: ecco che allora cantano senza forma, cioè con gli organi completamente rilassati, il che succede soprattutto cantando piano. Lasciando il diaframma completamente floscio, irrigidendo le parti superiori, oppure trattenendo il fiato (che dovrebbe fluire dolcemente), si ottiene solo il tremolio della voce e la perdita dell’appoggio”.

“Non bisogna mai trattenere la corrente del fiato; non bisogna mai stringere gli organi, ma consentire di svolgere la loro funzione con elasticità”.

Se cerchiamo di controllare direttamente il fiato, trattenendolo o spingendolo, otteniamo l’effetto contrario, impedendo la creazione della risonanza libera del suono.

“Quando canto una nota isolata, posso dare molta più potenza, molta più risonanza palatale, di quanto mi sarebbe possibile se essa fosse inserita in una serie di note ascendenti. In questo caso devo dare alla nota più grave molta più voce di testa rispetto a quella che sarebbe necessaria se si trattasse di una nota isolata”.

Salendo nella zona acuta ho la sensazione d’avere sul palato, al di sopra e dietro il naso, contro le cavità della testa, una palla di gomma che si riempie come un pallone con la corrente incessante del fiato che fluisce dietro la gola. Man mano che salgo, posso ingrandire questa palla e per far questo alzo la forma. Tutto questo mi consente di eseguirla facilmente e senza fatica. Inoltre più il suono e acuto e più il fiato deve essere percepito come verticale.

“Le voci in cui predomina la risonanza palatale, sono le più difficili da conservare. E` raro trovare persone disposte a rinunciare alla potenza di suono nel centro a favore della voce di testa. Il suono di testa puro, non mescolato con le risonanze palatali, e` di per se debole. Ma la risonanza palatale, senza mescolanza con la voce di testa, rende il suono molto potente da vicino, ma che non “corre” in una grande sala”.

 

WILLIAM EARL BROWN (1931)

Il coinvolgimento muscolare a livello diaframmatico-addominale dato dall’appoggio, non e` il frutto di spinte muscolari volontarie, ma e` la manifestazione esterna che la voce ha trovato quel magico punto di equilibrio che annulla le tensioni.

“Le funzioni naturali della respirazione, della fonazione, dell’udito, del tatto creano l’atto fisiologico del canto. Tutto il resto e` bagaglio in eccesso”.

Un’altra fondamentale distinzione che Brown stabilisce e` quella tra due forme di energia, che agiscono nel canto: un’energia dolce, leggera, che e` legata all’azione calma, e un’energia pesante, muscolare, associata a sforzi, contrazioni e tensioni. La prima e` tipica del canto naturale, la seconda del canto artificiale.

“Non allontanate mai la voce dal suo centro focale, non spingere mai il fiato in alto, non lasciare che la pronuncia abbandoni le labbra”.

Il suono a bocca chiusa e la respirazione sembrano nascondere un segreto tecnico importante per il canto.

“La m e` la vibrazione originale, niente altro. Usata correttamente, essa e` in grado di agire come elemento unificante della voce, uguagliando i registri ed eliminando gli attacchi e gli scatti. E`il frutto della fusione tra fiato e suono”.

Il suono a bocca chiusa, emesso correttamente, e` una delle risorse più importanti per vedere la parte alta.

“Allo stesso tempo si può affermare che non si può spingere la voce nelle cavità alte. Ogni tentativo di mettere artificialmente il suono nella “posizione giusta” ostacola il suono. E` il suono che deve trovare da solo la sua posizione”.

Sia per la Lehmann che per G.B. Lamperti il suono e` individuato approssimativamente nel punto palatale.

A questa definizione bisogna aggiungere che la pronuncia deve essere “a fior di labbra”, altrimenti “la voce non potrà stare a fuoco”.

 

E. CARUSO, L. TETRAZZINI, A. PERTILE, G. LAURI VOLPI (1909 - 1952)

Caruso anche nei momenti più drammatici non forzava mai il fiato nel tentativo di aumentare la potenza vocale.

L’esigenza di dosare l’energia consiste, per Caruso, in una completa scioltezza muscolare e una completa calma mentale, senza la quale e` impossibile controllare la voce.

Riconosciuto che l’inspirazione non può essere puramente addominale, perche questo impedirebbe la creazione del “pallone del fiato”, Caruso sottolinea l’importanza di appoggiarsi su questo pallone, che implica appunto un movimento verso il basso e un continuo contatto con questo pallone, come appunto quando ci si appoggia. Senza questo sostegno profondo del fiato il suono e` totalmente incolore, senza energia e non corre, al contrario di quanto succede con una nota morbida, ma appoggiata profondamente.

Sostegno profondo non significa attuare spinte muscolari volontarie mentre si canta, ne dal basso verso l’alto ne dall’alto verso il basso, ma significa stabilire e mantenere naturalmente il contatto, creato al momento dell’attacco del suono, con la base elastica del fiato.

Anche se Caruso e` un sostenitore della respirazione profonda (inspirare una grande quantità di fiato) la Lehmann non e` d’accordo. Focalizzare l’attenzione sulla quantità d’aria da inspirare porta a concepire l’inspirazione non come un atto passivo (come dovrebbe) ma attivo, determinando rigidità muscolare, e impedendo la naturale creazione del pallone o cuscino del fiato, su cui appoggiarsi.

Lauri Volpi afferma che “ogni nota e` la base della nota successiva”.

Caruso esprime lo stesso concetto cosi:

“La purezza e la facilita` di emissione degli acuti dipendono molto dal modo con cui le note che precedono sono cantate. Incominciando dal registro centrale e salendo alle note più alte, occorre mantenere costantemente un equilibrio, in modo che la nota più alta possa beneficiare della posizione e della apertura della gola del suono di partenza e di conseguenza non c’e` più pericolo che la gola sia chiusa e che le note acute risultino strette”.

Gigli parlava di un attacco “leggero e alto” Lauri Volpi di un suono “sulla cima del soffio”.

Caruso parla di un “attacco puro”.

Secondo Caruso la percezione della posizione del suono, non deve essere ne nella gola ne nel petto ne nel naso, bensì “sopra il palato molle”.

Caruso conferma l’importanza della respirazione riconosciuta dall’antica scuola italiana. Ogni tentativo di aprire la gola o di alzare il palato direttamente e meccanicamente, si risolve in atti muscolari rigidi, che sono nocivi al canto.

Una delle due condizioni per la corretta risonanza della voce cantata e quella orizzontale che può essere ricreata con la vocale a e il sorriso, la quale deve fondersi armonicamente con quella verticale, data dalla dilatazione degli spazi interni, data dal respiro naturale profondo (l’inizio dello sbadiglio). Se manca l’asse verticale il risultato e` la voce di gola.

Se si sente la gola o la glottide al momento dell’attacco del suono, la gola e` chiusa o non e` aperta correttamente, e il suono e` di conseguenza sbagliato.

Caruso inoltre afferma:

“ Vocalizzando a bocca chiusa, occorre usare gli organi vocali nello stesso modo in cui si usano per emettere correttamente un suono: ci dovrebbe essere una completa morbidezza dei muscoli facciali, della mandibola e della lingua, come quando sono in uno stato di riposo; le labbra dovrebbero toccarsi leggermente. In questo modo le vibrazioni del suono non saranno ostacolate dall’ostruzione dei muscoli ne forzate attraverso il naso dalle tensioni; invece risuoneranno nelle cavità e renderanno le note rotonde e belle”.

E` con questa educazione alla facilita` e alla naturalezza che la voce gradatamente cresce e il cantante acquisisce l’equilibrio che gli consente di guidare il suono con movimenti minimi, quasi rimanendo immobile e non facendo niente.

L’articolazione impeccabile di Caruso era dovuta alla flessibilità della lingua e delle labbra, e al fatto che egli non cercava mai di enfatizzare la pronuncia delle consonanti.

La Tetrazzini mette in evidenza una componente nuova della corretta inspirazione, espansione della parte dorsale e non solo frontale della camera d’aria del canto, ciò che da luogo al senso di una respirazione circolare. L’equilibrio che si crea e` il presupposto che consente ai suoni di rimanere morbidi anche in zona acuta. La Tetrazzini inoltre afferma che inspirare troppa aria rischia di irrigidire i muscoli, e trattenere l’aria invece di lasciarla fluire liberamente, rischia di chiudere la gola.

“Dal momento in cui la nota incomincia, il fiato deve fluire con essa. E` una buona idea pensare, al momento dell’attacco del suono, di alitare. Questo vale soprattutto per gli acuti, per i quali si dovrà fare particolarmente attenzione ad attaccare il suono sul fiato e non premendo o spingendo con la gola. La pressione del fiato garantisce la forza e, facendo nascere la nota dal punto focale nel palato, assicura l’altezza”.

“Quanto più le note sono alte, tanto più bisogna toccarle con dolcezza per evitare le urla”.

“Il giovane cantante cerca di sviluppare le note alte e di farle risuonare ai suoi orecchi grandi come le note centrali. Invece i puri suoni di testa sembrano piccoli e deboli a chi sta cantando, e la tentazione e` di attingere alla corposità dei suoni più bassi, ma il suono di testa ha quella qualità penetrante che lo fa correre in ampi spazi, che non ha il suono di gola, che può sembrare immensa a chi canta ma in realtà manca di risonanza”.

L’apertura della gola, l’abbassamento della laringe e il rilassamento dei muscoli facciali possono essere evocati dall’idea dello sbadiglio e dal bere.

“Nel canto la bocca dovrebbe essere sempre leggermente a sorriso. Questo lieve sorriso rilassa le labbra, consentendo loro di giocare liberamente con la lingua per formare le parole”.

La tendenza a ingrossare la voce viene individuato da Pertile come il pericolo più grave, conseguenza diretta del timore di avere poca voce. Di qui le manovre di molti cantanti tese ad allargare al massimo la gola, ad abbassare la laringe, ad alzare il palato rigidamente e a pressare sui muscoli respiratori.

Il vero suono si espande e diventa grande solo se nasce piccolo, cioè puro e semplice. Ignorando la distinzione tra suono grande e suono grosso, il cantante dovrà sempre pressare le note, egli penserà di aver eseguito una grande nota, mentre questa non passera` l’orchestra.

Giacomo Lauri Volpi rimarca l’immagine dell’atteggiamento ad un principio di sbadiglio e le labbra a lieve sorriso. Inoltre afferma che, collocata la prima nota, le altre seguiranno “sul filo del soffio”.

Una volta entrati nella sfera dei suoni puri, essenziali, una volta trovato il centro della risonanza, tutto diventa più facile; dalla libera articolazione e pronuncia delle parole, al superamento dei passaggi di registro, al soffio che collega i vari suoni sulla stessa corrente di fiato.

 

LA DIFFUSIONE DELLA SCUOLA DI CANTO ITALIANA NEGLI STATI UNITI

William Vennard, noto insegnante e ricercatore scientifico, afferma che non “bisogna avere gola quando si canta”. Inoltre suggerisce di far precedere l’attacco del suono dal rilascio di un po’ di fiato.

“Si tratta di simulare uno sbadiglio ed emettere gentilmente un suono. Lo studente deve immaginare di essere seduto comodamente e di essersi appena messo le pantofole”.

I primi esercizi che do si basano sull’approccio dello sbadiglio. Quando questo concetto e` stato assimilato, si comincia a lavorare sul focus. Il suono inizialmente e` magro e forse anche poco piacevole. Una volta che si e` trovato la giusta posizione, tutto quello che si deve fare e` dare più spazio, in cui la risonanza possa svilupparsi.

Seth Riggs e’ il promotore del “canto a livello parlato”.

Il canto a livello parlato risale a circa duemila anni fa (come attestato dal detto di Giulio Cesare, “se canti, canti male, se dici, canti”), ed e` stata riproposto in epoca belcantistica col famoso detto “si canta come si parla”.

Riggs dopo aver riconosciuto la necessita di eseguire alcune manovre (rilassare i muscoli esterni della laringe, eseguire i passaggi di registro, non alzare la laringe, e cosi via), ne proibisce altre, come la respirazione profonda, l’appoggio e la gola aperta, che sono proprio quelle prescritte dalla tradizione didattica, a cui lui afferma di ispirarsi.

Il suo approccio si basa su un controllo localizzato, il non alzare la laringe. Invitare un cantante a non alzare la laringe e` contrario alla tradizione della scuola del belcanto. Secondo la concezione belcantistica italiana, la corretta posizione della laringe deve essere il risultato indiretto delle capacita del cantante, attraverso un autocontrollo passivo, di aprire e distendere il corpo (gola compresa) in modo naturale; il che e` possibile soltanto attuando la respirazione naturale profonda, come faceva Francesco Lamperti, quando invitava a sentire l’aria fredda che attraversa e apre la gola durante l’inspirazione.

Jerome Hines, cantante solista al Metropolitan di New York, raccoglie delle interviste in materia di tecnica vocale, fatte a grandi cantanti. Da esse emerge il collegamento di numerosissime indicazioni tecniche con quella che abbiamo definito la didattica del belcanto. Tra le più esplicite citiamo le seguenti:

Martina Arroyo: Il respiro profondo, naturale, apertura della gola simile allo sbadiglio, volto disteso, senza mostrare i denti. Nelle note più acute, più spazio nella gola.

Fiorenza Cossotto: La gola aperta da origine a una sensazione di inizio di sbadiglio.

Andando in alto la gola si allarga, ma in maniera rilassata, e i suoni devono concentrarsi di più.

Regine Crespin: L’apertura della gola ricorda l’inizio dello sbadiglio. Inspirare pensando di espandersi come un pallone.

Nicolai Gedda: Inspirando come quando si incomincia a sbadigliare, automaticamente la laringe scende. Inspirare a bocca chiusa, sentendo che tutte le cavità si aprono; nel belcanto la pronuncia eccessiva delle consonanti tende a rovinare il canto. La consonante deve essere alla stessa altezza della vocale; in questo modo le consonanti aiutano a produrre belle vocali. Per il passaggio al registro di testa occorre enfatizzare ancora di più la sensazione dello sbadiglio. Per gli acuti occorre più spazio, più punta alta del suono.

Marilyn Horne: Inspirando, come per sbadigliare, la laringe si abbassa automaticamente. La bocca non si apre molto cantando, eccetto che nelle note acute. Lo spazio e` essenzialmente interno.

Cornell MacNeill: Il diaframma e` sopravvalutato come mezzo per sostenere, e la quantità di fiato che di solito si usa, e`eccessiva. Bisogna pensare alla colonna del fiato e lasciare a se stesse le corde vocali, in modo che siano libere di vibrare. “Avanti e fuori” sono tutte sciocchezze. Occorre tenere il suono in cima alla colonna del fiato. Non si può e non si deve proiettare niente. Si può solo lasciare che il suono vada liberamente dove sa che deve andare. Si deve mantenere l’equilibrio generale e non controllare i singoli movimenti.

Luciano Pavarotti: Nel passaggio di registro la gola si apre come nell’inizio dello sbadiglio. La posizione deve essere sempre alta, anche cantando le note basse.

Paul Plishka: Vocalizzare a bocca chiusa con la consonante n da la percezione della giusta posizione del suono. La maggioranza dei problemi negli acuti sono dovuti a un eccesso di corposità.

Rosa Ponselle: Per correggere l’eccesso di brillantezza ho usato la vocale u.

Usavo mu nel centro della voce e mo negli acuti, mantenendo un leggero sorriso. Se non si riesce a fare una u con un leggero sorriso, allora e` sbagliata.

Nel registro centrale parlare semplicemente, non fare le boccacce, non creare uno spazio troppo grande. Andando in alto c’e’ bisogno di uno spazio più ampio e la bocca si apre di più.

 
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